Quel giorno la pioggia bussava sul mio ombrello.
Una presenza accennata
un piccolissimo peso.
L’universo decideva
di scivolarmi dolce sul capo.
Come la pioggia camminavo quel giorno.
Mi fondevo, passo passo,
in quelle gocce di universo.
Ma sulla mia strada,
uno scheletro d’uomo, un teschio semovente,
che quando cammina la pelle appesa
trema sulle giunture, fa rumore di cimitero.
Alzava una mano,
per scostare in un unico gesto
(non aveva l’ombrello, lui)
un ciuffo bagnato dalla faccia
di un altro scheletro,
giunto fin lì con la stessa stanchezza mortale.
Sotto le rughe lui, solo,
poteva vederci ancora una donna.
Lei ha alzato gli occhi e dal fondo del tempo
si sono guardati
come si guardano ogni giorno,
sorridendo.
E intorno a loro non pioveva più acqua ma polvere d’oro, stelle
e canti di balene dagli angoli più remoti della galassia.
Come se potessero, o desiderassero anche loro
esserci, fare parte di questo spettacolo.
Non so… è che
l’amore
me lo sono sempre immaginato così.
Stavo lavorando come consulente alla drammaturgia per la splendida compagnia di Oltre Il Teatro (OiT) e con Gilda Deianira Ciao, che li dirigeva a comporre il visionario spettacolo: Sei come noi. Questo pezzo contiene il germe di uno dei personaggi più delicati e complessi di quel testo.
Grazie per avermi permesso di scoprire come ascoltare le stelle insieme a voi.